Abbiamo ricevuto nella nostra casella di posta elettronica un testo-manifesto firmato da “un collettivo antiautoritario del nord-est della Romania”. Questo manifesto, ci dicono, è stato distribuito durante una manifestazione antimilitarista a Roma, in Italia, il 2 dicembre, che ha attraversato diversi quartieri dove vivono molti rumeni.
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Scriviamo questo messaggio nella sera del primo dicembre, il giorno in cui si celebra la festa nazionale della Romania. Un giorno in cui, quest’anno, sono state organizzate le elezioni parlamentarie, e che si trova tra due elezioni a distanza di una settimana per la presidenza del paese. In questo periodo oscuro per alcuni e pieno di speranze per altri, molti romeni (inclusi quelli della “diaspora”) si sono sentiti chiamati a portare, con il proprio voto, un cambiamento nel governo del paese. Considerate le sofferenze nella maggior parte della popolazione apportate dalla governance di questi ultimi anni, così come il contesto globale caratterizzato da guerre e militarizzazione europea, la società romena ha tutte le ragioni per desiderare un cambiamento del sistema politico. Almeno di quello locale.
Ma il voto si rivela, come sempre, una menzogna, una finzione che i politici (i vecchi e i nuovi) usano abilmente per guadagnarsi legittimità, approfittando di una popolazione sofferente. E il messianismo salvifico di coloro che sembrano vincere queste elezioni, cioè i rappresentanti dell’estrema destra, non è altro che l’esca più velenosa che una società possa ingoiare.
Confini, sovranismo, identità, nazionalismo (con la sua ombra: la guerra), difesa delle tradizioni e del cristianesimo sono proposti come un falso antidoto in un mondo alla deriva. Il nazismo promise le stesse cose. Ma la storia ci ha già mostrato che queste medicine prescritte hanno effetti collaterali incompatibili con la vita stessa, criminali: cioè isolamento, militarizzazione nazionalista, sfruttamento “sovrano”, xenofobia e razzismo, discriminazione, sterminio.
In queste elezioni, molti romeni hanno votato proprio coloro per i quali fascismo, nazismo e legionarismo rappresentano modelli di sviluppo spirituale, economico e culturale. Per la carica di presidente della Romania si è presentato uno per il quale l’acqua non è H2O e i criminali fascisti e legionari come Antonescu e Codreanu dovrebbero essere considerati eroi nazionali. E ha preso la maggior parte dei voti nel primo turno.
Un posto di primo piano nel parlamento romeno spera (e sembra averne le possibilità) di occuparlo il partito di estrema destra AUR, il cui “interesse strategico” nazionale è lo sviluppo del “capitale autoctono”. Cioè lo sfruttamento con manodopera in camiccia nazionale. Ma coloro che lavorano in altri paesi capiscono di avere più in comune con un lavoratore italiano, marocchino, albanese, moldavo, ucraino che con coloro che ci pagano lo stipendio, indipendentemente dalla loro nazionalità.
Un imprenditore tedesco o italiano non è migliore di uno romeno solo perché è “occidentale”. Così come quello romeno non è migliore degli altri solo perché è “uno di noi”. Tutti hanno gli stessi interessi. Ed i veri problemi, come la disuguaglianza economica, la divisione sociale, gli interessi finanziari e politici dei governanti, sono nascosti sotto discorsi patriottici. La classe dei politici, delle grandi aziende, del capitalismo finanziario locale o internazionale, non ha che da guadagnare dallo scontro tra i più deboli, incitando gli uni contro gli altri (non è forse la “diaspora” la più criticata da coloro che sono “rimasti a casa” ogni volta che ci sono le elezioni?).
Come il padrone così è la guerra. Visto che i grandi imprenditori (e gli Stati che questi guidano) hanno gli stessi interessi, così nessuna guerra può essere più giusta di un’altra. Quando un partito “patriota” dice “vogliamo la pace”, in realtà dice “Vogliamo dare piu vitalità alle imprese nazionali nel settore militare”, vogliamo “investimenti nella creazione di unità produttive per la NATO” (citazione dal programma AUR). Questo significa per loro la pace: fabbriche, armi e uniformi tricolori. Ma la morte di che colore è?
Le vittime della guerra siamo tutti noi, indipendentemente dalla nazionalità, dalla religione, dall’etnia, dall’orientamento sessuale o di genere. Chi è più o meno vicino alla linea del fronte non potrà che essere solidale, sostenendo chiunque sia costretto a combattere contro un aggressore. Ma forse proveremo una passione ancora maggiore per tutte quelle persone che decidono e riescono a fuggire dalle grinfie delle milizie, rifiutando di sacrificare la propria vita per la “patria” e la “nazione”. I più umili sono sempre stati chiamati dai governanti degli Stati, siano essi più o meno “sovrani”, a sacrificare la propria vita nei giochi delle classi politiche autoproclamatesi “patriottiche”.
I più umili, indipendentemente dalla provenienza, italiani, ucraini, russi o romeni, sono esortati (alcuni addirittura obbligati) a credere e rispondere alla chiamata del sacrificio e del crimine in nome di un bene supremo nazionale, sovrano. Partiti come AUR e SOS Romania, e politici come Georgescu, Simion, Sosoaca e altri legionari fascisti ci dicono che un imperialismo da ovest è cattivo, ma uno da est è buono. Noi diciamo che tutti gli imperialismi meritano la stessa condanna e come tali devono essere combattuti. E nel caos assordante delle guerre, l’unica risposta degna di umanità e giustizia può essere data solo dalla nostra voce, di coloro che sono chiamati al sacrificio, indipendentemente dal paese in cui siamo stati nati.
L’unica risposta: solo la voce della solidarietà attiva, complice con chiunque (fosse dell’Ucraina o della Russia) si rifiuta di credere nella guerra e nel crimine. Una voce che lotta per un mondo senza confini. L’unica risposta è la voce che grida in tutte le lingue
Guerra alla guerra e a chi la allimenta!
Solidarietà internazionalista a tutti i disertori!